Curiosità

Agriturismo Pian del Tevere

Tel. (+39) 075.9889520 ~ Cell. 340.7280878

Informazioni e disponibilità: info@piandeltevere.it

Le case

Pian del Tevere

La casa di Pian del Tevere

La casa di Pian del Tevere figura a catasto nel 1727. È un tipo dei più caratteristici e suggestivi della grande casa contadina umbra a scala esterna, sita al centro di un grande e florido podere, effetto delle bonifiche cinquecentesche della Valle del Tevere realizzate dai monaci Benedettini (dal motto ora et labora, prega e lavora, protagonisti delle bonifiche e della circolazione di una cultura agricola in diverse parti dell’occidente europeo) sui fertili terreni che nel Medio Evo si erano impaludati. A quelle bonifiche segue la costruzione di grandi case destinate ad accogliere famiglie coloniche sempre più numerose, perché c’è grande bisogno di braccia. Il colono – di cui Bartoccio (vedi sotto) rappresenta il tipo caratteristico – è a capo di una grande famiglia mezzadrile bene organizzata, dove ciascuno concorre per la sua parte a produrre ricchezze che poi vengono ripartite e vendute. All’inizio del ‘900 a Pian del Tevere abitava una famiglia di ben ventiquattro persone. La mezzadria vi è cessata nel 1965.

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Casella della Barca

Storia di Casella della Barca

Un tempo c’erano pochi ponti sul Tevere. Ma c’erano le barche, scafi piatti che traghettavano da una parte all’altra. Le usavano i contadini e in genere chi non aveva un cavallo per raggiungere il ponte che era lontano. A Casella della Barca abitava il barcarolo di Miralduolo, che con la barca aspettava i viandanti sul ciglio del Tevere. La tirava a mano, o con un cavallo o un somaro da terra, scorrendo una corda tesa tra le due sponde. Era raro che lo pagassero quei pochi centesimi, soldi non ce ne erano. Più spesso gli davano un po’ di grano, di uova o di prodotti che, quando albeggiava, andavano a piedi a vendere al mercato delle erbe a Perugia.

Così il barcarolo sbarcava anche il suo lunario, e qualche volta scambiava qualcosa con chi passava. Era un mestiere non facile, il fiume non era sempre buono, con la corrente e con i gorghi (bironi). D’inverno, quando era in piena, ilo fiume poteva portarsi via la barca! A Casella della Barca, la barca ha funzionato fino agli anni ‘30 del Novecento. Gli ultimi barcaroli si chiamavano Montagna ed erano tre fratelli, Francesco, Luigi e Costanzo. Li chiamavano “Bubù”. Poi ad abitare qui arrivarono i mezzadri Braccio e Argene Ceccacci, col figlio Giuseppe e il nipote Remo Giugliarelli.

Oggi Casella della Barca, che era già stata rifatta negli anni ’50, è stata rimessa a posto con attenzione appassionata ad ogni dettaglio, per farla bella e confortevole per i nostri ospiti. I nostri ospiti si godranno di questa atmosfera straordinariamente rilassante, silenziosa, tranquilla e saranno certi di riportare a casa bellissimi ricordi del loro soggiorno. Avvalendoci dell’esperienza di Pian del Tevere, qui ora abbiamo quattro affascinanti appartamenti, tra i 60 e 70 metri quadrati, ciascuno decorato in un modo suggestivo che evoca la campagna e la vita lungo il fiume.

Due appartamenti sono al piano terra e altri due al primo piano. Li abbiamo chiamati con antiche espressioni del dialetto. Così Vent’i sopra (letteralmente, il vento di sopra) significa il Vento del Nord (cioè la Tramontana); Vent’i sotto (letteralmente, il vento di sotto) significa il Vento del Sud (cioè lo Scirocco); la Vencara significa la Vincaia o il Vincheto (un luogo umido presso il fiume dove crescono spontanei i vinchi); la Merigge (dal lat. meridiare, da meridies, mezzogiorno), significa Meriggio e per opposizione l’Ombra.

Salvare Capra e Cavoli”, continua sotto in questa pagina…

La grande casa colonica

Il restauro di Pian del Tevere

Il recupero di Pian del Tevere è stato un raro ed esemplare restauro filologico, teso a conservare perfettamente integra forma, consistenza e atmosfera della casa colonica: dalle irregolarità dei muri e alla morbidezza delle falde dei tetti e dei piccoli sporti di gronda. Le aperture delle porte e delle finestre, con i loro davanzali quasi invisibili, sono quelle originali. Sono stati impiegati con ricercatezza i materiali della tradizione costruttiva locale, dalle pietre arenarie ai ciottoli di fiume, alle malte di pura calce.

Le stanze sono quelle originarie, coi focolari di muratura e legno e le pianelle dei pavimenti fatte a mano. Il comfort moderno è però assicurato dalla presenza in tutto l’edificio di impianti tecnologici nuovissimi, ben coperti e nient’affatto intrusivi. Una cura speciale ha nascosto canne e condotti per lasciare integra anche l’immagine esterna del grande tetto di coppi.

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Il Bartoccio, maschera di Perugia

Bartoccio

Bartoccio da Pian del Tevere, la maschera perugina

Bartoccio da Pièn del Tevre (Pian del Tevere) è la maschera carnevalesca perugina, come Gioppino lo è di Bergamo o Pulcinella di Napoli. Bartoccio è un contadino che si esprime nel dialetto ruvido e materialesco della campagna, che sale in città e ne riconduce tutte le forme alla sostanza primaria del cibo, del sesso, della vita e della morte.

Il suo è il tipo burlesco del villano benestante ma rozzo, furbo ma ignorante, sapido ma volgare, figlio nella commedia dell’arte e rappresenta lo specchio critico attraverso cui la città giudica se stessa. La maschera nasce nel Seicento e la letteratura dialettale in versi ha fatto di lui, e delle sue fortunate Bartocciate, il riferimento popolare dominante nei componimenti satirici.

Per saperne di più: Bartocciate alla perugina, poesie in dialetto dal Seicento all’Ottocento, a cura di L.M. Reale, Ed. Guerra, Perugia 1999, pp. 596.

Nella foto a destra: la marionetta (1960) di Bartoccio
(da Le Marionette di Anna M. Guardabassi, Volumnia Editrice, Perugia 1991).


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Salvare capra e cavoli

A proposito di barca e di barcaroli che traghettano attraverso fiume, conoscete il detto “Salvare capra e cavoli” ? Cioè salvare con una decisione due soluzioni che sembrano non compatibili? Si dice di un barcaiolo che traghettò al di là di un fiume una capra, un cavolo e un lupo senza che il lupo mangiasse la capra e la capra mangiasse il cavolo. E’ un indovinello famoso tra i logici. Ha un’antica origine.

Nel lontano 782 d.C., l’imperatore Carlo Magno chiamò alla sua corte ad Acquisgrana un monaco benedettino inglese, Alcuino da York (Albinus Flaccus, 730-804), che divenne Maestro della grande Schola Palatina. Era ritenuto l’uomo più dotto del suo tempo. Nel libro Propositiones ad acuendos juvenes (Problemi per rendere arguti i giovani) raccolse indovinelli e giochi matematici. Uno di questi – che ebbe grande diffusione nel Medioevo e nel Rinascimento – è la Propositio de lupo et capra et fasciculo cauli (Problema del lupo, della capra e della cesta di cavoli):

Homo quidam debebat ultra fluvium transferre lupum et capram et fasciculum cauli, et non potuit aliam navem invenire, nisi quae duos tantum ex ipsis ferre valebat. Praeceptum itaque ei fuerat, ut omnia haec ultra omnino illaesa transferret. Dicat, qui potest, quomodo eos illaesos ultra transferre potuit.

SOLUTIO Simili namque tenore ducerem prius capram et dimitterem foris lupum et caulum. Tum deinde venirem lupumque ultra transferrem, lupoque foras misso rursus capram navi receptam ultra reducerem, capraque foras missa caulum transveherem ultra, atque iterum remigassem, capramque assumptam ultra duxissem. Sicque faciente facta erit remigatio salubris absque voragine lacerationis.

Il barcarolo doveva traghettare al di là di un fiume un lupo, una capra e una cesta di cavoli, ma la barca poteva trasportare solo lui in compagnia di una delle due bestie o lui insieme alla sola cesta di cavoli. Se avesse lasciato su una delle due rive il lupo con la capra, questi l’avrebbe mangiata. Se avesse lasciato la capra con i cavoli, quella li avrebbe mangiati.

Come fece ?

Compì il primo viaggio con la capra. La lasciò sulla riva opposta e tornò indietro a prendere i cavoli. Traghettò i cavoli e riportò indietro la capra. Traghettò poi il lupo, e lo lasciò sulla riva opposta con i cavoli. Finalmente tornò a prendere la capra e con quel quarto viaggio concluse felicemente.

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